Donne che brillano al buio. La storia delle Radium Girls.

Siamo in un’aula di tribunale. Una giovane donna sta testimoniando. È sdraiata su una barella, riesce a malapena a sollevare il braccio per posare una mano sulla Bibbia e giurare di dire la verità, nient’altro che la verità. Pronuncia le parole a fatica, le mancano molti denti.

Grace Fryer è stata per anni un’operaia alla Undark, una fabbrica del New Jersey che produceva vernici molto particolari, usate soprattutto nella manifattura di orologi. Si trattava di vernici al radio, un materiale che stava riscuotendo gran successo in quegli anni, in quanto luminescente.

Il radio è un metallo radioattivo scoperto da Marie Skłodowska-Curie nel 1898 insieme a suo marito. Ci hanno vinto anche un Nobel. Ma è negli anni ’20 che vediamo il grande miracolo del libero mercato: intraprendenti imprenditori vedono in quella sostanza, così futuristica, un nuovo modo per fare soldi. Creme per il viso per un incarnato luminoso, bicchieri da cocktail fosforescenti, dentifricio per far brillare il sorriso: una veloce ricerca sul web restituisce uno spaccato di follia radioattiva. Va da sé che all’epoca non erano molto in chiaro sui pericoli della radioattività.

È in questa atmosfera di allegra imprenditoria che emerge la Undark. Le loro vernici erano perfette per dipingere quadranti e lancette di orologi e altra strumentazione tecnica per farli brillare al buio. L’esercito americano era uno dei loro principali clienti.

Grace aveva iniziato a lavorare alla Undark a diciotto anni. Il lavoro non era male. La paga non era delle migliori, ma almeno si stava sedute e non c’erano macchinari pericolosi, di quelli che ti fanno saltare le dita se non stai attenta.

Era però un lavoro di precisione. Le parti da dipingere erano minuscole, ma se utilizzavi il trucco che ti insegnavano, quello di leccare il pennellino per fare la punta alle setole, veniva perfetto.

Grace aveva chiesto al suo caposquadra se la vernice fosse sicura ed era stata rassicurata: perfettamente innocua. La polvere di radio, che veniva mischiata con acqua e un collante prima di essere utilizzata per dipingere le lancette era come porporina, finiva ovunque. Sui vestiti, nei capelli, sulla pelle. Alcune colleghe di Grace impazzirono di gioia quando uscendo la sera dallo stabilimento si accorsero di essere luminescenti. Le ragazze cominciarono persino a usare un po’ di quella vernice per dipingersi le unghie, magari prima di un appuntamento galante.

Nel 1920 Grace lasciò la fabbrica per andare a lavorare come commessa in una banca. Dopo un paio d’anni però Grace comincia a perdere i denti. A ventidue anni non è il massimo e anche il dentista è perplesso.

Sono circa 40'000 le persone che hanno lavorato in varie aziende che producevano o utilizzavano le vernici al radio. Per dipingere 250 lancette a turno venivano pagate tre dollari e settantacinque. Ma dopo pochi anni molte di queste dipendenti (quasi tutte ragazze giovani al primo impiego) lamentavano problemi di salute. Denti ballerini, ulcere in bocca, dolore alla mandibola.

Quando cominciarono a sollevarsi le prime proteste la U.S. Radium fu veloce a dare la colpa a qualunque cosa tranne che alle loro mancanti misure di protezione. Le dipendenti vennero accusate di essere sifilitiche, di essersi ammalate dopo le lastre ai raggi X. Le ragazze ci misero anni a trovare un avvocato disposto a rappresentarle davanti a un giudice. Poi cominciarono a morire. A frotte. Alcune avevano la mandibola talmente ulcerata che si faticava a riconoscerle.

Morì anche l’inventore della vernice, un fatto che fortunatamente aiutò molto le Radium Girls nel dibattimento. Ma fu solo nel 1939 che la U.S. Radium finalmente si arrese, smise di fare ricorso e pagò un risarcimento alle ragazze che erano sopravvissute. Grace non vide mai quel giorno. Morì nel 1933, a 34 anni.

Il caso delle Radium Girls è stato un importante fattore all’introduzione di leggi federali sulla protezione dei lavoratori negli Stati Uniti.

 

Recensione: Faune di Christiane Vadnais

Ho un vizio. Quando comincio a leggere un nuovo libro non mi informo quasi mai. Non leggo la quarta, non cerco l’autore, apro al capitolo uno e parto. Le ricerche le faccio dopo, per capire se le mie impressioni abbiano senso.

 Ma in questo caso, nel caso di Faune, non è completamente vero. Nel senso che quando questo libro mi è passato nel feed, io ho letto la quarta e sono saltata sulla sedia: climate-fiction! Questa è roba mia. Codice Edizioni è stata molto gentile a mandarmi una copia del libro. E voi direte: quindi sapevi cosa stavi per leggere. No.

 Quella che parte come una raccolta di racconti si trasforma presto in un romanzo a episodi. Uno dei primi momenti di smarrimento che ho provato durante il libro è stato proprio questo, quando mi sono accorta che quelli che avevo preso per racconti si andavano a intrecciare in una narrazione più ampia, sia nel tempo che nello spazio. Ma i momenti di smarrimento che chi legge incontra lungo questo libro sono numerosi. Chi legge weird e soprattutto chi ha letto Vandermeer si troverà forse più a suo agio, ma la sensazione di essere in precario equilibrio rimane.

 Corre voce che nei boschi di Shivering Heights le specie si diradano, alcune muoiono mentre altre si adattano a una velocità accelerata. È perduta la certezza di comprendere fino in fondo le astuzie delle volpi e lo sguardo sospettoso dei corvi; a quanto pare, tra diversi gruppi di insetti s’instaurano singolari connivenze. Ciò che un tempo era nominato, classificato, ordinato in diverse branche e sottobranche, ora risulta sconosciuto.

 Siamo a Shivering Heights, una non meglio definita località dove si trova una SPA. La natura è più che rigogliosa, entra nell’inquadratura in modo arrogante, con i suoi boschi e la sua pioggia incessante. Il rumore del fiume ingrossato è il sottofondo principale. L’atmosfera cupa, umida, che sa di foglie marce la fa da padrone e i personaggi che si muovono in questa natura sull’orlo dell’esplosione sono piccoli piccoli, con problemi piccoli piccoli, ma che a loro sembrano la fine del mondo.

 Abbiamo la workaholic in burnout protagonista dell’episodio iniziale, abbiamo la scienziata ambiziosa, abbiamo la figlia in eterna lotta con la madre, abbiamo una comunità che vive in mezzo a un lago, abbiamo dei fanatici religiosi. E sullo sfondo di queste vicende così umane la natura continua a rumoreggiare, a ondeggiare, a stringersi intorno, a ribellarsi all’inquinamento costante. E tu lettore vieni sballottato senza pietà: sei immerso in questo mondo fatto di foglie, di diluvi, di rami sferzati dal vento. Poi ti ritrovi al lago, dove una comunità vive sopra un villaggio galleggiante, decisa solo a pescare di giorno e fare festa di notte. Notte in cui è severamente vietato immergersi nelle acque del lago.

 Tutta la narrazione è attraversata da una strana carnalità. Il bosco, l’acqua, il fango avvolgono le persone, le trasformano, le cullano. Oppure le divorano, e le sputano diverse. Vengono mangiate cose che non andrebbero mangiate, vengono fatte cose che non andrebbero fatte. Non si capisce se le mutazioni che vediamo sono opera dell’evoluzione oppure dell’inquinamento.

Per me è stata una lettura breve ma molto intensa, con il finale che ha un che di liberatorio. È un libro che nonostante la stranezza porta un senso un po’ assurdo di speranza.

Christiane Vadnais, canadese, classe 1986, ci ha messo cinque anni a finire Faune, la sua opera prima. I critici la lodano, anche se non sanno in che genere incasellare il libro. Ma quello è un loro problema.

Talvolta, quando adocchia esseri sconosciuti, un vecchio desiderio la prende : nominare. Classificare il vivente. Ma ormai opta in genere per la contemplazione, così fissa con curiosità i rifelssi iridati di quella larva soffice, che si muove con ampie oscillazioni.

Lettura consigliata a chi ama il weird e la climate fiction, a chi ama essere immerso in un ambiente narrativo denso, umido e fangoso. A chi ama sentirsi confuso per il piacere di ritrovare il bandolo della matassa alla fine. A chi piace la filosofia e il farsi domande sul senso della vita.

A chi cerca l’azione un avviso. Qui ce n’è poca. Pur essendocene tanta. Succedono cose in questo libro, ma è come se si svolgessero attraverso una nebbia. I personaggi sono sempre tra il letargico e il rassegnato e quando agiscono, lo fanno come al rallentatore.

Ringrazio ancora Codice Edizioni per avermi fatto arrivare questo libro. Trovo bello che anche in Italia ci sia chi vuole far arrivare questo genere di narrazioni sperimentali. 

Il libro è acquistabile su tutti gli store online. Maggiori informazioni sul sito dell'editore.

 

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